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Previdenza sociale e falsi miti: sei sicuro di saperne abbastanza?

09/10/2019

Gli italiani sono uno dei popoli più longevi del mondo: ad oggi, infatti, l’aspettativa di vita è di 80,5 anni per gli uomini e 85 anni per le donne. I motivi sono molteplici: la dieta mediterranea, l’assistenza sanitaria gratuita, il nostro DNA o, semplicemente, la commistione di tutti questi elementi.

Ma quella che è senza dubbio una buona notizia da un punto di vista generale, rischia di svelare la polvere sotto al tappeto, goffamente nascosta dalla classe politica degli ultimi 30 anni, riguardo ad un tema di sempre più stringente attualità ed urgenza sociale: quello delle pensioni.

Perché se è vero che gli italiani sono un popolo estremamente longevo, è altresì vero che la base demografica del paese è completamente sproporzionata: gli anziani sono molti di più dei giovani.

Ad oggi, per ogni persona in pensione ci sono 1,4 lavoratori attivi… un po’ pochi. Se consideriamo che questo rapporto è destinato ad assottigliarsi fino - verosimilmente - ad invertirsi, si capisce l’importanza e la delicatezza del tema e la necessità di trovare soluzioni alternative a quelle classiche.

Ma rimandando alla fine dell’articolo la proposta di nuove soluzioni previdenziali, specialmente per i giovani, è necessario fare un passo indietro e rivelare 4 falsi miti riguardo al sistema pensionistico italiano. Miti così insiti e cristallizzati nel nostro background da essere oramai divenuti delle pietre miliari del nostro immaginario collettivo. 

Perciò, prima di fornire dei suggerimenti ai più giovani è necessario sfatare questi miti, sgomberando il campo da false credenze. 

Procediamo.

1 - Andiamo in pensione tardi: FALSO 

In teoria dovrebbe essere così, perché la legislazione vigente prevede che gli uomini vadano in pensione a 67 anni e le donne a 66. In realtà, negli anni sono state introdotte numerose forme di flessibilità che hanno ridotto l’età effettiva di pensionamento. Ultima tra queste la famigerata Quota 100: una revisione parziale della Riforma delle Pensioni introdotta nel 2011 durante il Governo Monti dall'allora ministro Elsa Fornero, le cui nuove disposizioni per il pensionamento anticipato stabiliscono un’età minima di 62 anni di età e 38 anni di contributi.

Una rivoluzione? Non proprio

Stando ai calcoli dell’OCSE nel 2018, infatti, l’età effettiva di pensionamento in Italia era già di circa 62 anni, ben al di sotto della media degli altri Paesi che fanno parte dell’organizzazione. 

 

2 - Per le pensioni spendiamo meno degli altri Paesi: FALSO 

L’Italia è, al contrario, uno dei Paesi più generosi nelle spese messe a bilancio per il sistema previdenziale: in Europa siamo tra i paesi che spendono di più sia in termini di PIL, sia in termini di reddito pro-capite. 

3 - Gli assegni pensionistici italiani sono i più bassi: FALSO 

In realtà gli assegni sono in linea con l’economia nazionale. In media un lavoratore dipendente riceve un assegno di vecchiaia pari a 703 euro: una cifra oggettivamente bassa. Tuttavia, in Italia le prestazioni pensionistiche sono in linea con lo stipendio medio ricevuto durante la carriera lavorativa (anzi, chi gode di una pensione maturata con il sistema retributivo guadagna in proporzione anche di più!): a stipendi bassi corrispondono meno contributi versati e, quindi, pensioni basse. Il trattamento pensionistico italiano é - in ogni caso - decisamente più generoso rispetto alla media OCSE.

4 - Le ultime riforme hanno messo al sicuro il sistema pensionistico: VERO E FALSO 

Le più o meno recenti riforme del sistema pensionistico - a partire dal passaggio dal sistema retributivo, che nel calcolo della pensione considerava il salario degli ultimi anni di lavoro cioè i più remunerativi al sistema contributivo, che prevede il calcolo della pensione in base ai contributi realmente versati - hanno aiutato a migliorare la sostenibilità finanziaria di lungo termine ma non possono far miracoli: l’Italia continuerà ad avere una spesa pensionistica superiore alla media europea. Ad oggi coloro che hanno più di 64 anni rappresentano il 22,3% della popolazione (erano l’8,2% nel 1951), pari a circa 13,5 milioni di persone e nel 2050 saranno circa 20 milioni.

 

Cosa possono fare i diretti interessati da questa stima, cioè i giovani, per contrastarne l’impatto e non farsi trovare impreparati?

La soluzione è soltanto una: la previdenza complementare.

La legge Maroni (decreto legislativo 252/2005) e la legge Finanziaria del 2007 hanno portato alla costituzione nel nostro Paese del secondo e del terzo pilastro previdenziale, cioè della previdenza collettiva, realizzata dal lavoratore nell’ambito della propria azienda e della previdenza individuale

La previdenza complementare ha la funzione di accompagnare l’aderente lungo il proprio ciclo di vita, attraverso l’accantonamento regolare di una parte dei risparmi durante la vita lavorativa, per ottenere una pensione che si aggiungerà a quella corrisposta dalla previdenza obbligatoria.

Da un punto di vista fiscale la tassazione è particolarmente favorevole. Ad esempio, l’adesione al fondo pensione permette di avere un triplice beneficio: 

1) L’immediata deduzione fino a 5.164 euro all’anno, con un risparmio che oscilla tra un minimo di 1.187 euro ed un massimo di 2.220 euro. La deduzione è tanto più significativa quanto più alta è la propria aliquota marginale IRPEF; 

2) L’imposta sostitutiva del 20% sul risultato netto maturato in ciascun anno, a fronte del 26% sugli altri investimenti finanziari. 

3) La tassazione sulle prestazioni è del 15% iniziale e potrà scendere fino al 9%. L’imponibile fiscale è dato dai contributi dedotti e dal Tfr. 

 

Va ricordato che piani di assistenza complementare sono stati previsti anche dall’Unione europea. In linea con i principi cardine dell’Unione, basati sulla libera circolazione di persone e merci, il 29 giugno 2017 la commissione UE ha pubblicato la bozza di regolamento sui prodotti pensionistici individuali europei (PEPP). 

L’obiettivo è quello di rafforzare il terzo pilastro previdenziale e aumentare la partecipazione alla previdenza complementare, per assicurare a lungo termine redditi da pensione più cospicui, combinando pensioni pubbliche, pensioni aziendali e professionali e pensioni individuali. Per tale motivo la Commissione incoraggia gli Stati membri a riservare ai PEPP lo stesso trattamento fiscale concesso prodotti nazionali analoghi esistenti. 

In altre parole i PEPP rappresentano a tutti gli effetti la forma di previdenza perfetta per chi gira l’Europa per fare carriera.

 

L’argomento è sterminato e potremmo stare qui a trattarlo ancora per ore, ma ci siamo già dilungati troppo!

Quindi ti invito ad approfondirlo perché, mai come questa volta, ne va del tuo futuro.

A presto!