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Il paradosso del risparmiatore italiano: come gestiamo i nostri risparmi?
08/11/2019
Gli italiani, si sa, sono popolo di santi, poeti, navigatori e… risparmiatori.
Ma certamente non di investitori.
Secondo l’indagine condotta da Standard & Poor’s Ratings Services insieme alla Banca Mondiale, infatti, gli italiani sono solo al 63° posto per livello di alfabetizzazione finanziaria e all’ultimo posto tra i Paesi del G7.
Cos’ha portato a questa situazione?
Senza dubbio la mancanza di educazione finanziaria per gli abitanti del Belpaese.
I numeri sono impietosi: sempre secondo l’indagine, in Italia solo il 45% degli uomini presenta un adeguato livello di educazione finanziaria, livello che scende al 30% per le donne.
L’italiano arriva addirittura a chiedersi: «conviene ancora investire?»
E’ una domanda che lascia sempre di sasso: l’investimento è il principio cardine che permette al risparmio di contrastare nel tempo l’inflazione. Se non investiamo e lasciamo fermi i soldi nel c/c della banca o sotto il famoso materasso di casa, abbiamo la certezza di aver perso denaro, inteso come potere d’acquisto.
La maggioranza degli italiani sottostima l’inefficienza dell’assetto del proprio patrimonio e, quindi, il corrispondente vantaggio della pianificazione. L’enorme massa di denaro giacente sui conti correnti ne è la palese riprova.
Per far capire la miopia di questo atteggiamento, porterò un esempio pratico: chi nel 1960 ha messo da parte 10.000 lire rinunciando a 10 cene al ristorante si è ritrovato nel 2003, quando il cambio di valuta gli ha imposto il passaggio agli euro, con l’equivalente in denaro di 5 caffè.
È chiaro il concetto, sì?
Come si comportano, quindi, i risparmiatori italiani?
Dai risultati di una ricerca realizzata da SWG in collaborazione CNP Partners, su un campione di 1000 persone, di età compresa tra i 35 ed i 70 anni, emergono 4 profili di risparmiatori: i little beaver, gli easy touch, i trader e gli sparing.
I little beaver - o formichine - rappresentano il 57% del totale. Sono coloro che reagiscono all’incertezza con un atteggiamento molto attento al risparmio, considerando tuttavia i prodotti d’investimento come qualcosa di complesso e rischioso. Se investono lo fanno esclusivamente nella prospettiva di proteggere il futuro salvaguardando il capitale.
Gli easy touch, corrispondenti al 38% del campione sono scarsamente propensi alla pianificazione finanziaria ed estranei al mondo degli investimenti, da loro ritenuti troppo complessi da capire.
I trader, equivalenti al 17% del totale, sono in possesso di una buona conoscenza del mondo degli investimenti finanziari e considerano i prodotti d’investimento come il miglior modo per far fruttare ed accrescere il capitale, reputandoli una fonte di serenità per l’avvenire.
Gli sparing, infine, pari al 10% del totale, sono persone tendenzialmente giovani che hanno già messo su famiglia e sono molto attenti alla pianificazione finanziaria ed in tal senso investono puntando sia al rendimento che alla protezione del capitale, per garantire a sé stessi e alla propria famiglia un futuro sereno.
Ok, abbiamo capito che gli italiani che investono sono una percentuale bassa del totale, ma chi investe, in cosa lo fa e dove?
Anche in questo caso i numeri sono netti: due terzi degli investimenti totali è indirizzato al mercato immobiliare - il 98% in Italia - ed il restante 30% in titoli di Stato italiani a breve termine o in liquidi. Soltanto il 3% è investito in azioni sui mercati mondiali.
La causa di questo nazionalismo è spiegabile come retaggio del passato, quando la vita era più semplice e non necessitava di pianificazione: i titoli di Stato rendevano bene, il mattone era un investimento sicuro e poco tassato… e tanto bastava per sentirsi in una botte di ferro.
Se affianchiamo questi numeri a quelli dei risparmiatori inglesi, invece, ci rendiamo conto di quanto questo atteggiamento sia divenuto anacronistico: Oltremanica, chi ha pianificato in modo efficace dei piani d’investimento per i propri risparmi ha ottenuto un incremento della propria ricchezza superiore del 19% rispetto a chi non lo ha fatto.
In definitiva, gli italiani sono stati bravi a risparmiare, anche in questi ultimi anni non facili, ma non sono riusciti ad effettuare quel passaggio che li avrebbe portati ad essere investitori consapevoli. La causa è presto detta: hanno ancora la percezione che investire sia qualcosa di molto complicato, rischioso e poco redditizio.
Dobbiamo constatare, quindi, che i dubbi e le paure portano a non agire e a procrastinare.
In pratica, gli italiani si sentono in agitazione per quanto riguarda la loro serenità finanziaria futura ma, proprio a causa di quest’ansia, non procedono a fare l’unica cosa che può garantirgli la stabilità che cercano: cioè pianificare.
Siamo di fronte a quello che potremmo denominare, senza timore di smentita, il paradosso del risparmiatore italiano.
Con il mio blog cerco di contribuire al massimo delle mie possibilità affinchè le persone possano modificare in modo positivo i loro comportamenti per una più sana gestione delle loro risorse finanziarie.
Per questo ti invito a continuare a seguirmi.
A presto!