Sono 330 i miliardi che al 2020 risultano investiti in buoni postali e buoni fruttiferi postali.
Il dato di Assogestioni, pubblicato pochi giorni fa, mi ha incuriosito e mi ha spinto ad approfondire l’argomento.
Per decenni la tendenza di molti risparmiatori italiani è stata quella di investire i propri risparmi in titoli di Stato e molto spesso in buoni fruttiferi postali, i rendimenti sono sempre stati molto interessanti e, addirittura per chi aveva tempo di aspettare 9 anni e 6 mesi, i buoni fruttiferi postali raddoppiavano il capitale investito. Bei tempi…
Tale scelta da sempre è stata sinonimo di massimo guadagno e massima sicurezza in quanto ritenuti privi di rischio.
Oggi la situazione è cambiata.
La politica monetaria ultra-espansiva delle Banche centrali nel tentativo di sostenere l’economia ha avuto come effetto quello di comprimere i rendimenti delle obbligazioni.
La componente obbligazionaria è l’area di maggior investimento tra tutte le aree di asset di investimento a livello globale e il mercato delle obbligazioni governative, di solito parcheggio di risparmi prudenti, è stato spogliato del suo valore reale per spostare enormi quantità di denaro su investimenti in capitali di rischio.
L’era dei tassi reali negativi rappresenterà pertanto un tema strutturale e non ci sarà la ricerca del rendimento, ma più propriamente
la caccia al rendimento.
Ed ecco che tanti risparmiatori continuano a scegliere la strada più semplice e più conosciuta investendo ingenti patrimoni in buoni postali o buoni fruttiferi.
Dal report di Assogestioni si evince che in Italia ci sono oltre 50 milioni di buoni postali e quasi 31 milioni di libretti, praticamente 1 italiano su 2 ha uno di questi due strumenti in portafoglio.
Proviamo ad analizzare quanto detto.
La prima riflessione riguarda il rendimento
Un risparmiatore che investe i suoi risparmi in un buono fruttifero con scadenza 12 anni ottiene la seguente remunerazione:
Un buon rendimento se pensiamo all’alternativa di lasciare i nostri soldi sul conto, anche se occorre fare i conti con l’
inflazione e con l’
erosione del potere di acquisto che anche in pochi anni riescono a fare la differenza comportandosi come vere e proprie “
tasse invisibili”.
Siamo naturalmente portati a considerare il tasso nominale, ma quasi mai facciamo attenzione a quello reale, cioè il tasso nominale depurato dall’inflazione.
È il tasso reale quello che conta, in quanto esprime il potere di acquisto del denaro.
È pur vero che oggi l’inflazione in Italia è ai minimi storici (0,5% la media degli ultimi 5 anni e 0,94% quella a 10 anni) ma è pur sempre positiva e impatta sul valore del denaro in conto.
In questa tabella vediamo l’erosione del capitale a causa dell’inflazione.
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Fonte: Goalbasedinvesting[/caption]
Nel nostro esempio dei 100.000 euro, dopo 12 anni otteniamo circa 5.000 euro di guadagno ma ne perdiamo almeno 10.000 per il solo effetto dell’inflazione.
Ecco che, dati alla mano, il risultato di questa scelta di investimento risulta opposto a quello desiderato.
La seconda riflessione è quella della sicurezza
Per decenni i risparmiatori sono stati abituati a ritenere privo di rischio l’investimento in titoli di Stato e Buoni fruttiferi perché ricordiamo che questi ultimi vengono distribuiti da Poste italiane ma vengono emesse dalla Cassa depositi e prestiti, quella che, per fare un esempio recente, ha salvato dal fallimento Monte dei Paschi, a sua volta controllata dallo Stato.
Eppure, gli emittenti di questi titoli – gli Stati, appunto –
sono sempre falliti.
Nel mondo Occidentale ci sono stati diversi casi di insolvenza, la Germania non ha rimborsato i creditori per 4 volte (l’ultima a ridosso degli Anni Trenta), l’Austria addirittura 7 volte, ma anche il Portogallo e la Spagna non hanno onorato il proprio debito, così come ultimamente la Grecia durante la crisi del 2010 che ha generato un default di 300 miliardi di euro.
Perché falliscono gli Stati? Nello stesso modo in cui fallisce un’azienda, accumulando
debito da renderlo nel tempo insostenibile e pertanto il merito creditizio va a deteriorarsi.
Nel caso dell’Italia risulta evidente il deterioramento del merito creditizio negli ultimi decenni (evoluzione storica rating S&P):
[caption id="attachment_3047" align="aligncenter" width="966"]
Fonte: Kaidan[/caption]
Quindi, significa che dobbiamo prepararci ad un default?
Assolutamente no, significa solamente che l’investimento in questi strumenti finanziari non è privo di alcun rischio, tanto più in questi ultimi anni dove i bilanci degli Stati si sono appesantitivi a causa dell
’emergenza sanitaria ed economica COVID-19.
Quindi un suggerimento è quello di evitare la concentrazione in strumenti ritenuti ultra sicuri per evitare eventuali delusioni.
La terza riflessione riguarda gli obiettivi delle persone
Come abbiamo visto sopra, la scelta di questi strumenti è dettata principalmente dalla sicurezza e dal rendimento seppur minimo, così facendo l’attenzione si concentra solamente su cosa investire e la valutazione verrà limitata al singolo prodotto e si giudicherà il valore dell’investimento solamente su quanto rende mettendo in secondo piano gli obiettivi, la principale variabile che dovrebbe accompagnare ogni forma di investimento.
Ricordiamo che il denaro mantiene e acquista valore solo se è correttamente investito attraverso apposite strategie funzionali al raggiungimento di ciò che per noi è più importante.
La cosa migliore da fare è
parlare con il proprio consulente finanziario di fiducia che costruisce assieme a te un sistema di scelte che ti consenta di gestire i tuoi risparmi in modo efficiente per il tuo benessere
attraverso una efficace pianificazione.
Ogni mese scrivo la mia newsletter “Oggi ti parlo di…” che condivido con i miei clienti e con il mio network volta ad analizzare tematiche specifiche al fine di creare spunti di riflessione e confronto e rimanere sempre informati.
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Rosario Daniele Iemulo